domenica, marzo 12, 2017

La grande nebulosa di Orione: sensore digitale contro occhio umano

La sera dell'11 marzo ho scattato questa foto alla grande nebulosa di Orione usando il rifrattore da 25cm dell'osservatorio di Campo Catino, sommando 23 pose da 120''. Una foto carina, non c'è dubbio, della quale sono piuttosto soddisfatto, nonostante la mia scarsa esperienza nell'elaborazione di immagini astronomiche. Vedendo questa foto però mi è venuta l'idea di affrontare un discorso che non ho mai approfondito su questo blog: quali sono le differenze tra una foto e l'osservazione visuale del cielo con i nostri occhi?


Per confronto ho rielaborato la foto precedente in modo da farla assomigliare a quello che si può vedere nell'oculare del telescopio da 80 centimetri.



La prima cosa che è lecito chiedersi è come sia possibile ottenere così tanti dettagli da un telescopio da 25cm, mentre osservando in un 80cm non se ne vedono molti di più. La grossa differenza tra fotografia e osservazione visuale sta nel fatto che un sensore digitale è in grado di accumulare luce per parecchi secondi (in questo caso ho scattato foto da 120 secondi), mentre l'occhio umano è limitato a "tempi di esposizione" di pochi centesimi di secondo. Così facendo, la luce catturata in quel breve tempo da un telescopio da 80cm è molto inferiore a quella raccolta da un 25cm in diversi minuti. Inoltre con appositi software si possono sommare le singole esposizioni per ottenere ore, persino giorni totali di esposizione, cosa che ovviamente il nostro cervello non è in grado di fare.

Un'altra cosa che colpisce subito è la quasi totale assenza di colori. Questo è dovuto ai due tipi di cellule che compongono la retina: i coni, che percepiscono i colori, e i bastoncelli, che invece percepiscono le differenze di luminosità. In condizioni di scarsa luce i coni non lavorano quasi per niente, per questo tutto ciò che riusciamo ad apprezzare sono le differenze di luminosità, a scapito del colore che viene quasi interamente perso. Nonostante ciò le nebulose più luminose riescono a stimolare lievemente i coni, specialmente quelli sensibili al verde, mostrando una debole colorazione verdastra.

Per finire, è molto importante l'adattamento al buio. Mentre su una fotocamera digitale basta un click per passare da 100 a 3200 iso aumentando di tantissimo la sensibilità, l'occhio impiega quasi mezz'ora per adattarsi completamente all'oscurità, producendo specifiche proteine sensibili alla luce. Questo significa che osservando in un telescopio dopo aver controllato i messaggi sul cellulare si vedrà poco e niente, perché basta una luce all'apparenza fioca per resettare l'adattamento al buio. 

Con questo discorso non voglio dire che l'osservazione visuale non dia soddisfazioni. Ciò che voglio comunicare a chi non è molto esperto di osservazioni astronomiche è che spesso le spettacolari e coloratissime foto del telescopio Hubble danno un'idea sbagliata di quello che realmente si vede mettendo l'occhio in un telescopio. E non vuol dire che noi non ci vediamo oppure che le foto astronomiche sono false: sono semplicemente due cose totalmente diverse, e una persona può apprezzare l'una, l'altra oppure entrambe, come nel mio caso.




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